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The Life of Chuck di Mike Flanagan: quando la fine diventa un inno alla vita

Dopo Doctor Sleep e Gerald’s Game, Mike Flanagan torna a confrontarsi con l’universo di Stephen King, ma con una prospettiva completamente nuova.
In The Life of Chuck, l’autore di Hill House e Midnight Mass abbandona l’horror puro per abbracciare la spiritualità della vita quotidiana, raccontando l’esistenza di un uomo comune… al contrario.

Cosa succede quando il maestro dell’orrore decide di raccontare la vita, invece che la paura?

Il film si apre con un mondo che si dissolve. Gli schermi si spengono, le strade si svuotano. Eppure, su un cartellone luminoso compare una scritta: “Tre atti della vita di Charles Krantz – 39 anni di straordinaria normalità.”

Da qui inizia il viaggio al contrario di Chuck (Tom Hiddleston), la cui vita viene raccontata a ritroso, dall’ultimo istante alla giovinezza. Un espediente narrativo rischioso, ma che diventa una riflessione sulla memoria, sulla fine e sulla bellezza del vivere.

The Life of Chuck non parla di fantasmi, ma di ricordi. Flanagan costruisce un film che è insieme intimo e universale, dove ogni scena è una piccola epifania. Il tempo, l’identità e l’accettazione della perdita diventano i tre pilastri del racconto, e lo spettatore si ritrova inevitabilmente a specchiarsi in Chuck.

Una scena tratta dall'ultimo film di Mike Flanagan, "The Life of Chuck" tratto da Stephen King

The Life of Chuck: il cast

Tom Hiddleston è il cuore pulsante del film. Dopo anni di ruoli iconici e spesso larger-than-life, come Loki nel Marvel Cinematic Universe o Jonathan Pine ne The Night Manager, l’attore britannico sorprende per la sua capacità di sottrazione.
Qui non c’è alcuna grandiosità, nessuna battuta a effetto: solo un uomo comune che vive — e rivive — i frammenti della propria esistenza.

Hiddleston costruisce un personaggio fragile ma mai patetico, abitato da una dolcezza trattenuta che si manifesta nei piccoli gesti: un sorriso incerto, uno sguardo che sfugge, un respiro che diventa più eloquente di qualsiasi battuta.
È una performance intimista e profondamente fisica, in cui il corpo dell’attore diventa lo spazio stesso della memoria.

Accanto a lui, Mark Hamill offre una prova sorprendentemente contenuta e malinconica. Lontano anni luce dal carisma di Luke Skywalker o dai ruoli più eccentrici, Hamill interpreta una figura silenziosa e paterna, quasi un alter ego spirituale del protagonista. La sua presenza funge da bussola emotiva per lo spettatore, accompagnandolo con discrezione nei momenti più difficili del racconto.

Karen Gillan, invece, rappresenta la memoria affettiva di Chuck. Con la sua energia e la sua dolcezza, dà vita a un personaggio che incarna il legame con il passato e il senso di ciò che resta quando tutto il resto scompare.
Gillan porta calore, ironia e un tocco di leggerezza in un film altrimenti immerso nella malinconia.

Insieme, questi tre interpreti costruiscono un microcosmo di emozioni credibili e misurate, dove ogni sguardo e ogni silenzio ha un peso preciso. Flanagan dirige il cast con sensibilità quasi teatrale, lasciando che siano le pause, più che le parole, a raccontare ciò che conta davvero.

Linguaggio visivo e narrativo: lo stile di Flanagan

Con The Life of Chuck, Mike Flanagan conferma di essere uno dei registi più coerenti e riconoscibili del panorama contemporaneo, ma anche uno dei più disposti a evolversi.
Se nelle sue opere precedenti — da The Haunting of Hill House a Midnight Mass — aveva indagato l’orrore come metafora del dolore e della fede, qui il regista sceglie di spogliarsi completamente del genere per raccontare la spiritualità dell’esistenza quotidiana.

Il tono visivo è radicalmente diverso: la fotografia calda e dorata di The Life of Chuck (curata da Michael Fimognari, collaboratore storico di Flanagan) abbandona i contrasti cupi e le ombre nette dei suoi horror per abbracciare una luce quasi crepuscolare.
Ogni inquadratura sembra immersa in un tramonto perenne, come se il mondo stesse lentamente svanendo — ma con grazia. È un’estetica che richiama il realismo poetico di Terrence Malick (in particolare The Tree of Life), ma filtrata attraverso la compostezza narrativa tipica di Flanagan.

La regia è più contemplativa rispetto al suo stile classico. Le lunghe carrellate e i movimenti fluidi di macchina, marchio di fabbrica di Flanagan fin dai tempi di Hill House, qui assumono un significato nuovo: non più strumenti di tensione, ma di empatia. È come se la macchina da presa cercasse costantemente di abbracciare i personaggi, di seguirli nei loro momenti più silenziosi, come una presenza benevola che osserva senza giudicare.

L'immagine promozionale di The Life of Chuck, l'ultimo film di Mike Flanagan tratto dall'autore di best seller, Stephen King

La struttura in tre atti diventa anche una sperimentazione visiva. Ogni segmento del film ha un linguaggio cinematografico distinto:

  • Il primo atto (la fine del mondo) è girato con toni freddi e un ritmo più frammentato, quasi da thriller metafisico.
  • Il secondo assume tonalità più intime e realistiche, con un uso insistito dei piani sequenza che ricordano la regia immersiva di Midnight Mass.
  • Il terzo, dedicato all’infanzia di Chuck, è un piccolo film nel film: colori caldi, profondità di campo ridotta, e una messa in scena che evoca la meraviglia del ricordo.

In questo senso, The Life of Chuck è una sorta di ponte tra il Flanagan dell’horror e quello del dramma esistenziale.
Ci sono echi visivi delle sue serie Netflix — l’uso simbolico delle case, i corridoi che diventano spazi mentali — ma reinterpretati in chiave poetica. La paura lascia il posto alla tenerezza, e l’oscurità diventa luce.

La colonna sonora, composta da The Newton Brothers (anch’essi collaboratori storici del regista), amplifica questo sentimento sospeso tra malinconia e speranza. Motivi semplici, quasi circolari, si ripetono come un battito cardiaco o come il passare del tempo — discreti ma in grado di entrare sottopelle.

Perché tveserie.it lo consiglia?

The Life of Chuck è uno di quei film che arrivano in punta di piedi, ma restano nel cuore.
Tveserie.it lo consiglia perché è un’opera capace di parlare di vita, tempo e memoria con una sincerità che raramente il cinema contemporaneo riesce a raggiungere.
Mike Flanagan, che in passato ha raccontato l’orrore come riflesso delle nostre paure interiori, qui compie un passo ulteriore: ci mostra che anche nella fine c’è bellezza, che ogni ricordo, anche il più piccolo, può contenere un universo intero.

La forza del film sta proprio nella sua delicatezza. Non cerca di stupire, non urla, non spinge lo spettatore verso il dramma: lo accompagna, con rispetto, dentro il mistero della vita. E lo fa con una regia intima, un’interpretazione straordinaria di Tom Hiddleston e una sensibilità che raramente si incontra in un adattamento da Stephen King.

In un panorama dominato da franchise e rumore, The Life of Chuck è una pausa di silenzio e di poesia, un racconto che non vuole spaventare ma ricordarci quanto sia prezioso esistere.
È un film che invita a fermarsi, a respirare, a guardare le cose con occhi nuovi. Lo consigliamo a chi crede che il cinema non serva solo a intrattenere, ma anche a riconnetterci con la parte più vera di noi stessi.

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