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Una questione privata: quando le Langhe raccontano storie che non invecchiano mai

In questo periodo dell’anno le Langhe si riempiono di profumi. C’è il tartufo bianco, ovviamente—quello che dal 11 ottobre all’8 dicembre richiama ad Alba migliaia di visitatori per la 95ª Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba. Ma c’è anche un altro profumo, più sottile, che si nasconde tra la nebbia di queste colline: quello della memoria. Delle storie che non invecchiano mai, anche se appartengono a un’epoca lontana.

Una questione privata, il film dei fratelli Paolo e Vittorio Taviani disponibile su RaiPlay, racconta proprio questo. E lo fa partendo da un capolavoro della letteratura italiana: il romanzo di Beppe Fenoglio, scrittore di Alba, uno dei maestri assoluti del Novecento italiano.

Fenoglio e le sue Langhe

Prima di parlare del film, parliamo un attimo di Beppe Fenoglio. Nato ad Alba nel 1922, morto troppo presto nel 1963 a soli quarant’anni, Fenoglio è stato il cantore delle Langhe e della Resistenza. Ma non della Resistenza eroica, retorica, quella dei monumenti e delle celebrazioni. No. Fenoglio raccontava la Resistenza umana. Fatta di dubbi, paure, amori impossibili, tradimenti piccoli e grandi.

“Una questione privata” è il suo romanzo più controverso, pubblicato postumo. E già il titolo dice tutto: in mezzo alla guerra partigiana, alla lotta contro i nazifascisti, il protagonista Milton è ossessionato da una “questione privata”—la gelosia per un amore non corrisposto. È questa la genialità di Fenoglio: mostrare che anche durante la Storia con la S maiuscola, le persone vivono le loro piccole storie personali. E a volte queste storie personali sono più importanti di tutto il resto.

I Taviani e l’ultimo film insieme

“Una questione privata” è del 2017. È l’ultimo film diretto insieme dai fratelli Taviani prima della morte di Vittorio, avvenuta pochi mesi dopo l’uscita del film (Vittorio aveva collaborato alla sceneggiatura ma non era potuto essere sul set per motivi di salute). Paolo aveva 86 anni, Vittorio 88. E hanno scelto di concludere la loro straordinaria carriera cinematografica tornando proprio lì: alla Resistenza, al tema che li aveva accompagnati fin dal loro primo film.

Il cast è quello giusto: Luca Marinelli nel ruolo di Milton (e Marinelli qui è perfetto, nervoso, febbrile, quasi febbricitante), Lorenzo Richelmy come Giorgio, il migliore amico e rivale in amore, e Valentina Bellè nei panni di Fulvia, la ragazza che li ha fatti innamorare entrambi.

La trama: Un triangolo amoroso nel cuore della guerra

Estate del 1943. Tra i boschi delle Prealpi piemontesi, tre ragazzi vivono l’estate dei grandi amori. Milton è introverso, appassionato, scrive lettere bellissime a Fulvia. Giorgio è solare, estroverso, il tipo di ragazzo che piace a tutti. Fulvia gioca con entrambi, divertita e crudele come solo una ragazza di vent’anni può essere.

Un anno dopo, tutto è cambiato. Milton e Giorgio sono partigiani. La guerra civile è nel pieno. E Milton, tornato alla villa dove aveva conosciuto Fulvia, scopre dalla governante una verità che lo distrugge: forse tra Fulvia e Giorgio c’era qualcosa. Forse lei amava il suo migliore amico.

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Da quel momento, Milton non pensa ad altro. Dimentica la lotta partigiana, dimentica gli ideali, dimentica tutto. C’è solo un’ossessione: trovare Giorgio e chiedergli la verità. E così inizia a correre. Letteralmente. Attraverso le nebbie delle Langhe, da una postazione partigiana all’altra, alla ricerca di un amico che è stato appena catturato dai fascisti.

Paolo Taviani ha detto che se il film non si fosse dovuto chiamare “Una questione privata”, l’avrebbe chiamato “L’uomo che corre”. E infatti Luca Marinelli corre per tutto il film. Affannato, disperato, quasi impazzito.

Le Langhe come personaggio

Chi è delle Langhe sa che queste colline non sono solo un paesaggio. Sono un personaggio. Hanno un carattere, un’anima. E nel film dei Taviani le Langhe sono protagoniste quanto i personaggi umani.

La nebbia, prima di tutto. Quella nebbia fitta, avvolgente, che impedisce la vista e rende tutto uguale. Uomini e paesaggi. Il risultato è uno spaesamento generale dove le uniche certezze sembrano essere le feroci leggi della guerra e della violenza.

Poi ci sono le castagne sul terreno, i colori autunnali che sfumano nell’umidità. I boschi. Le colline ripide che i partigiani dovevano attraversare per sfuggire ai rastrellamenti. In questo periodo, quando ad Alba si celebra il tartufo bianco e le Langhe si riempiono di turisti, è difficile immaginare che queste stesse colline furono teatro di una guerra civile spietata. Eppure basta guardare questo film per ricordarlo.

Curiosità: le Langhe del film non sono esattamente quelle vere. Oggi il territorio è cambiato moltissimo, trasformato in ordinatissimi vigneti (e giustamente, perché producono alcuni dei migliori vini al mondo). Quindi i Taviani hanno girato nella Val Maira, più a sud, per trovare un paesaggio più simile a quello che Fenoglio aveva descritto—più selvaggio, più difficile, meno “da cartolina”.

Un film che divide

“Una questione privata” è un film che divide. La critica è stata spaccata. Alcuni l’hanno amato per il rigore filologico, per la fedeltà allo spirito di Fenoglio, per le scene mute di straziante intensità (come l’incontro di Milton con i genitori, momento devastante senza una parola pronunciata).

Altri l’hanno trovato troppo statico, troppo letterario, con attori che non parlano con accento piemontese e una fotografia non all’altezza delle aspettative.

Io? Io l’ho trovato coraggioso. Coraggioso perché nel 2017, due registi di 86 e 88 anni hanno scelto di fare un film sulla Resistenza che non è eroico, non è spettacolare, non ti dà risposte facili. È un film che ti lascia sospeso, come Milton sospeso nella sua ossessione, incapace di andare avanti.

E poi c’è il finale. I Taviani hanno cambiato il finale del romanzo (che è discusso da sempre, visto che Fenoglio è morto prima di completarlo). Non vi spoilero nulla, ma vi dico solo che è un finale molto “privato”. Che sottolinea ancora una volta come questa non sia una storia sulla Resistenza in generale, ma sulla vicenda personale di un ragazzo folle d’amore in mezzo al caos della guerra.

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Beppe Fenoglio e la Sala che porta il suo nome

Mentre siete ad Alba per la Fiera del Tartufo (e se non ci siete mai stati, andate—fidatevi), fate un salto al Cortile della Maddalena. È il cuore della vita culturale albese. Ospita il Museo civico, la Biblioteca Civica “Giovanni Ferrero”, e—non a caso—la Sala “Beppe Fenoglio”.

In quella sala, durante la Fiera, si svolgono cooking show, degustazioni, eventi culturali. Ma porta il nome di Fenoglio. E questo mi sembra bellissimo. Perché significa che Alba non ha dimenticato il suo scrittore più grande. Quello che ha raccontato queste colline meglio di chiunque altro.

Perché vederlo su RaiPlay

“Una questione privata” non è un film facile. Non è uno di quei film che guardi distrattamente mentre scorri Instagram. Richiede attenzione, silenzio, concentrazione. Ma se amate il cinema d’autore, se amate Fenoglio, se amate le Langhe e volete capire qualcosa di più di questa terra oltre al tartufo e al Barolo, allora questo film è per voi.

È disponibile su RaiPlay, quindi gratuitamente con la sola iscrizione. Durata: 84 minuti. Non lunghissimo. Ma intenso. Molto intenso.

E se lo guardate in questo periodo, mentre ad Alba si celebra il tartufo e le colline si riempiono di visitatori, capirete ancora meglio il contrasto tra la leggerezza della festa e il peso della memoria. Tra il presente gioioso e il passato tragico. Tra la “questione pubblica” della Storia e le “questioni private” che ognuno di noi porta dentro.

Non è un capolavoro assoluto. Ma è un film importante. Un testamento spirituale di due grandi maestri del cinema italiano che hanno voluto tornare, alla soglia dei novanta anni, al tema che li aveva formati: la guerra, la memoria, il trauma collettivo e personale.

E soprattutto, è un film che ci ricorda che la Resistenza non fu solo un’epopea di eroi. Fu anche (soprattutto?) una vicenda di ragazzi giovanissimi, spaventati, innamorati, gelosi, umani. Troppo umani.

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